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La mentira mas grande en el deporte es que todos los jugadores deben ser tratados igual

La mentira mas grande en el deporte es que todos los jugadores deben ser tratados igual”. Questa frase che significa “la menzogna più grande nello sport è che tutti i giocatori debbano essere trattati uguali” è diventato uno dei comandamenti di Pep Guardiola, bandiera del Barcellona prima come giocatore e poi come allenatore, l’uomo destinato con ogni probabilità a vincere il titolo anche in Inghilterra con il Manchester City, dopo quelli vinti in Spagna e Germania. Un uomo speciale che non si è mai definito special one e che – curiosamente – è un grande appassionato di pallavolo.

Ricordo, in una vecchia intervista, disse che tra gli sport che amava di più c’erano il tennis e la pallavolo: “Il tennis perché esalta talenti straordinari, la pallavolo perché è un vero sport di squadra”. E confidò la sua ammirazione per Julio Velasco. Per me, appassionato di pallavolo, fu una rivelazione un po’ strana perché Velasco, all’epoca, era fermo da quasi tre anni dopo aver allenato Italia maschile e femminile. In compenso aveva scritto un libro, aveva tenuto diversi corsi motivazionali e organizzativi e gli allenatori di calcio mal sopportavano che soggetti come Velasco o Montali avessero la verità in tasca. 

Guardiola e Velasco si incontrarono a pranzo quando un Pep – giovane allenatore – stava cominciando la sua stagione di tecnico di cui dice: “Un incontro che mi ha cambiato la vita perché con grande semplicità mi ha spiegato tante cose che a volte non basta una vita a imparare. Mi disse di comportarmi con i miei giocatori come se fossero dei bambini: non sono tutti uguali e non devono crescere tutti uguali, ognuno di loro ha una personalità e un talento che va coltivato. Mi disse che l’allenatore non deve costruire ma deve convincere a fare le cose e mi disse una frase che mi segnò profondamente“Se vuoi allenare devi uccidere il giocatore che è in te”. 

L’allenatore di calcio passa per essere un presuntuoso, un intoccabile, salvo poi saltare per aria insieme alla panchina: “L’allenatore deve dire bravo a qualsiasi giocatore se lo meriti, anche più volte, anche il doppio del necessario. E se la squadra è femminile moltiplicate per quattro: le ragazze vanno coccolate. E ogni tanto vanno spinte in piscina, dalla parte dove non si tocca”.

Allenare richiede dedizione, Guardiola chiese a Velasco come ‘curare’ le teste calde dei giocatori più dotati, ma che spesso preferiscono la discoteca alla palestra: “Digli chiaramente che le palestre di periferia sono piene di grandi giocatori mancati; quelli che sono pronti a sacrificarsi sul serio saranno sull’albo d’oro e fuori dai locali notturni”. 

Guardiola racconta, in quella vecchia intervista che Velasco gli disse:

 “Pep, quando deciderai di allenare dovrai avere chiarissima una cosa: non provare a cambiare i giocatori, i giocatori sono come sono. Ci hanno sempre detto che per il coach tutti i giocatori sono uguali, ma questa è la bugia più grande che esista nello sport. La chiave di tutto è saper toccare il tasto giusto. Nei miei giocatori di pallavolo, per esempio, c'è qualcuno a cui piace che gli parli di tattica e così stiamo 4/5 ore a parlarne, perché so che adora farlo. Qualcun altro invece, dopo 2 minuti già si è stufato perché non gli interessa e non vuole parlarne più. Oppure qualcuno ama che parli di lui davanti alla squadra: del gruppo, delle cose buone o cattive, di tutto, perché così si sente importante. Altri no, non lo amano affatto, quindi portali nel tuo ufficio e digli quello che gli devi dire in privato. Questa è la chiave di tutto: trovare il modo. 

E questo non sta scritto da nessuna parte. E non è trasferibile. 

Ecco perché è così bello il nostro mestiere: le decisioni che ieri, sono servite, oggi non servono più’..."

Ed ecco anche perché è bello il mio, caro lettore. Mi sento Allenatore anch’io. Chi vince tanto ha piccoli grandi segreti, oltre all’immensa dedizione al lavoro; e mi piace pensare di poter attingere un po’ alle loro esperienze.

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